Report Orobie Ultra Trail by Matt

Sebbene mi renda conto che lo scrivere dell’Orobie Ultra Trail compete meglio a un campione o a un esperto, insomma a qualcuno di forte, tenterò con questo mio usurpato gesto, di fare il punto su quella che è indubbiamente una grande esperienza di questo sport.

Come ho già raccontato a molti, l’OUT è un trail molto difficile, non per i 140 km da percorrere, neanche per i quasi 10000 metri di dislivello positivo ma per le difficili caratteristiche del fondo, per le critiche situazioni ambientali e per la dura pressione a cui è sottoposta la mente.

Si parte e farà caldo. Attenzione al caldo che lascerà presto spazio e tempo al freddo e alle intemperie.

Nell’OUT ci sono situazioni che non si trovano in altre competizioni, un esempio, molte discese si percorrono più lentamente di certe salite. Ci sono tratti esposti, pericolosi, in almeno un paio di punti. Uno appena pochi chilometri dopo la partenza, guardare il profilo altimetrico aiuterà moltissimo, ma non darà per niente un’ idea del terreno di gara.  A me sono venute le vertigini, qualcuno invece in quei punti, cercava di superare. Consiglio massima prudenza.  Se cadete vi sfracellate. Un altro tratto pericoloso è quello che porta a bivacco Frattini, poco dopo il “Brunone”. In quel tratto si è stanchi, albeggia, abbiamo una notte alle spalle, ricordo che lo spettro del cancello orario faceva capolino nei miei confusi calcoli mentali, la presenza di passaggi attrezzati con le corde era un chiaro segnale della rischiosità. Anche in quei punti, quando sei aggrappato a una corda, qualche folle, tenta di superare. Attenzione perché, la mancanza di lucidità può giocare brutti scherzi in quel tratto. Aggiungete anche una buona possibilità di freddo e intemperie in quella zona.

Tornando all’aspetto puramente concreto della gara, quando si può pensare di farcela veramente?

Io l’ho pensato quando sono arrivato al rifugio Brunone. La salita che da Valbondione porta al Brunone è ripida, forse più di 500 mt D+, lunga, 10 km e il fondo, a partire dal ristoro idrico di “mezzo Brunone” non è bello, per niente. Solo roccia.

Quella salita me la ricordo ancora. Era piena notte, ascoltavo suoni di torrenti e cascate, ma non vedevo niente, neanche con l’aiuto della luna, lo sguardo era incollato alla traccia sulla roccia.

Quando la stanchezza mi imponeva una pausa, alzavo gli occhi  e vedevo luci di frontali più avanti al mio esausto passo che mi confondevano la razionale percezione dello spazio. Non pensavo che sarebbe stato possibile salire ancora tanto, eppure, la presenza di altri molto più veloci e avanti e in alto di me, mi fece capire l’importanza della pressione mentale.  Per fare quei 10 km di salita impietosa , si possono calcolare tranquillamente 5 ore. Ore di vera sofferenza. Tuttavia, se arrivati al Brunone, le sensazioni dovessero ancora essere buone, dal mio punto di vista, potremmo dire con una certa sicurezza di potere arrivare a Bergamo alta, ma attenzione perché manca ancora tanto sterrato.

Bello è l’arrivo a bivacco Frattini, il tracciato è impegnativo, il freddo è quasi sicuro, però da lì comincia la discesa. Massima prudenza a scendere, e in caso di maltempo, trovare qualcuno con cui fare gruppo.

Fino a Zambla è tutto un concentrarsi nel non pensare tranne che a correre, camminare, arrancare, una specie di ipnosi. Si parla poco ma bisogna mangiare e bere con una certa frequenza. Arrivati a Zambla ci si riposa, meglio non dormire, inutile la doccia, bisogna anche mangiare e siccome le gambe saranno dure, i piedi doloranti, se possibile, concedersi un massaggio e dieci minuti di stretching. Zambla comunque è il punto in cui cambiarsi maglia, scarpe, calze, mutande, tutto.

Subito dopo Zambla c’è l’ultima vera fatica, la salita all’Alben, impegnativa, ripida, ostica, freddo, vento, tratti esposti ma almeno c’è ancora luce. Dopo l’Alben ci sarà il conforto, basta asperità, solo tanta pazienza in attesa di Bergamo alta. Chilometri, salite, ma basta asperità.

Fino a Selvino, anche li, concentrazione, poche parole e via di corsa a denti stretti.  Arriva la seconda notte, e con quella arrivano le allucinazione, basta saperle riconoscere e non preoccuparsene troppo. Arriveranno i dolori muscolari, le vesciche e forse qualche crampo. A Selvino probabilmente arriverà anche la tentazione di dormire, credo che 15 minuti saranno più che sufficienti. Copritevi e state asciutti.

Da Selvino alla Maresana potrà essere una noia mostruosa, noioso potrà essere anche l’approccio a Bergamo alta e all’arrivo. Dell’arrivo ricordo solo che c’era birra no limits e tanto dolore alle gambe. Qualcosa ancora oggi mi dice che OUT è un trail che va fatto, perché è un evento che va al di fuori del mediatico, del blasonato. E’ un confronto con quello che probabilmente crediamo essere lo stare al mondo.

Buone corse.

Matt

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